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di Davide Ciliberti
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La Grande Bellezza è un’efficacissima sintesi cinematografica di una drammatica e melanconica parabola discendente di una civiltà, quella romana con – ciò intendendo anche quella italiana – fotografata da Sorrentino nel suo punto più basso. Dalle meraviglie della Roma antica, passando per la “dolce vita”, alla “Grazie Roma” di Venditti, fino alle – forse già allora decadenti – serate dalle salottiere che animavano le notti della capitale, sollazzavano politici e cardinali, riempivano le pagine di Periscopio – e partorivano (ohibò) Dagospia –, a quella di una via Veneto surreale, deserta, silente.
L’opposto dell’euforico passeggio degli anni ’50 divenuto simbolo di un’epoca, la dolce vita, appunto, talmente mitica da assumere un valore simbolico, diventar metafora di gioia, spensieratezza, benessere.
La Grande Bellezza di Sorrentino, pur scherzando con le parole, è decadenza, malinconia… bruttezza.
Marco Travaglio ha provato pazientemente e scandendo bene le parole a spiegare che “La Grande Bellezza” concettualizza una condizione che è esattamente l’opposto: la grande bruttezza.
http://www.serviziopubblico.it/2014/03/la-grande-vuotezza/?cat_id=3
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E invece, chissà come, chissà mai, si è trasformata nell’opposto dell’opposto.In tutta scioltezza l’abbinata terminologica grande bellezza, si usa ora per esprimere un concetto di eccellenza, italiana.
Eppure il film era sfacciato tant’era semplice nel significato..
Ma tant’è …che oggi Repubblica titola: “Arte, design e tendenze oltre il Salone. A Milano in vetrina la grande bellezza”. A leggere quindi: “Arte, design e tendenze oltre il Salone. A Milano in vetrina il peggio del peggio”.
Oppure giorni fa La Stampa in occasione del Vinitaly annunciava con orgoglio: “La grande bellezza dei vini piemontesi”, sarebbe a dire “la grande schifezza dei vini piemontesi”….
Salute!
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