Milano, 20 Ottobre 2020 – Il recente DPCM ha esortato aziende, pubblica amministrazione e organizzazioni, all’utilizzo dello strumento smart-working, almeno in una percentuale del 75% (* alla data di questo comunicato – ndr) . E se aziende ed enti si stanno velocemente attrezzando, forti anche delle recenti esperienze, affinchè lo smart-working possa divenire permanente anche in futuro, il quadro regolatorio pare non adeguarsi al cambiamento con proporzionale velocità.
“Nessuna legge ha ancora stabilito precisamente come lo smart-working debba essere implementato e attenzione alla verifica a distanza della prestazione lavorativa, il datore rischia sanzioni anche penali” – spiega l’avvocato Rita Santaniello di Rödl & Partner, colosso internazionale nella consulenza legale e del lavoro, presente in 49 paesi nel mondo tra cui l’Italia.
“Mentre in Germania si apprestano a varare una legge che consentirà a ogni lavoratore dipendente di avere diritto a un minimo di 24 giorni di lavoro agile all’anno, in italia – spiega l’esperta – dopo l’ultimo DPCM, lo smart working, così come è stato per i decreti precedenti, potrà essere attivato con la procedura semplificata in deroga alla legge n.81/2017 e di conseguenza senza necessità di accordo tra le parti”.
Questa disposizione secondo gli esperti legali del diritto del lavoro potrebbe portare ad alcune problematiche riguardanti il numero di ore lavorate, mettendo a rischio il diritto del dipendente alla disconnessione dall’attività lavorativa.
“Iniziamo con il chiarire che lo smart-working è stato creato per permettere al dipendente di svolgere l’attività lavorativa fuori dai locali aziendali e di decidere in piena autonomia i tempi e i luoghi di lavoro, nell’ottica di un migliore bilanciamento vita-lavoro – specifica l’avv. Rita Santaniello di Rödl & Partner – Purtroppo però queste prerogative sono spesso solo un’illusione e in molti casi si tende a lavorare di più di quando si è in azienda.”
Diritto alla disconnessione, come garantirlo?
“Se è vero che lo stato d’emergenza permette al datore di lavoro di attivare lo smart working senza accordo tra le parti – spiega l’avv. Rita Santineillo di Rödl & Partner – è altresì vero che il datore per quanto concerne i tempi di riposo e le misure tecniche-organizzative per assicurare al lavoratore il diritto alla disconnessione deve far in ogni caso riferimento alla legge N. 81/2017, che ha cercato di porre un freno all’aumento delle ore di lavoro e alla difficoltà a scindere la vita lavorativa da quella privata, stabilendo i tempi di riposo per lo smart-worker e la necessaria interruzione dal collegamento con gli strumenti aziendali informatici”.
Chiarito questo, però, la legge non ha stabilito nel merito come debba essere garantito questo diritto alla disconnessione e gli approcci da parte dei datori di lavoro sono tra i più disparati.
Datori di lavoro, attenzione a verificare da remoto la prestazione lavorativa dei propri dipendenti, si rischia il penale
“Può succedere, inoltre, che alcuni datori di lavoro abbiano introdotto strumenti o software che, tra le loro altre funzioni, consentano anche la verifica a distanza della prestazione lavorativa o il controllo degli orari di connessione agli strumenti aziendali – avverte l’avv. Rita Santaniello – In questi casi è assolutamente necessario ottenere le autorizzazioni previste dallo Statuto dei Lavoratori e informare i dipendenti in ottemperanza alla normativa europea sulla privacy. Diversamente il datore di lavoro potrebbe incorrere in sanzioni anche sotto il profilo penale.”
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